Parlare della storia dell’alimentazione umana vuol dire parlare di come si sono evolute le abitudini negli uomini nel corso degli anni. 

L’alimentazione degli essere umani nel corso del tempo è stata influenzata da elementi di carattere tecnologico, antropologico, psicologico e climatico. Mangiare, come si sente dire spesso, non concerne solo ad un bisogno meramente primario, ma si configura come un vero e proprio prodotto culturale. Ma com’è cambiata la percezione del cibo nel corso dei secoli? E come si è modificato il nostro rapporto con il cibo? Iniziamo col dire che presso Egizi, Greci e Romani gli alimenti principali erano rappresentati da grano integrale, legumi e da semi oleosi. Un’alimentazione piuttosto frugale per quanto ricca e varia. Dobbiamo arrivare al 700 per assistere al grande cambiamento rappresentato dall’introduzione dello zucchero. L’idea si concretizzo per mano del chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf che dimostrò che dalle barbabietole si poteva ricavare il saccarosio. Da quel giorno ad oggi anche grazie alle biotecnologie sono cambiate tante cose e quello che era un ingrediente gustoso si è trasformato in un prodotto considerato dalla medicina come eccessivo con evidenti danni sulla salute. Obesità, diabete e sindrome metabolica rappresentano solo l’ultimo tassello di un problema che coinvolge tutti i paesi del cosiddetto “primo mondo”, ma non solo. La cattiva nutrizione non è più solo una prerogativa delle società del benessere, ma, dati Oms, un terzo dei Paesi più poveri affronta sia la denutrizione che il suo opposto.

Secondo le previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2030 ben il 20% della popolazione italiana sarà obesa. In questo quadro è facile comprendere quale sia l’obiettivo primario al quale tendere. Il mantra principale è uno e concerne la necessità di controllare la quantità di zuccheri che ingeriamo per  prevenire dannosi depositi di grasso nell’organismo. Ma qual è la relazione tra l’eccesso di assunzione di zucchero con il peso in eccesso? In che modo i depositi di grasso possono essere fonte di malattie metaboliche e degenerative? In questo reportage con il supporto di illustri esperti della nutrizione abbiamo provato a tracciare il quadro di una problematica sempre più sentita e subita, sia dai singoli sia dai sistemi sanitari nazionali dei Paesi occidentali. 

Zucchero e insulina: il perverso meccanismo

Per lungo tempo si è individuato il problema del peso in eccesso nei grassi, ma appare sempre più chiaro che il nemico numero uno è lo zucchero. Questo perchè glucosio e fruttosio sono in grado di aumentare la concentrazione di insulina nel sangue. L’insulina è un ormone fondamentale perché regola la quantità di glucosio nel sangue ed è responsabile della produzione di fattori che favoriscono l’infiammazione. C’è da dire che tutti i cibi ricchi di zuccheri provocano dopo la loro ingestione un aumento di glicemia, fenomeno che induce il nostro pancreas a produrre velocemente insulina per riportare nella norma i valori dello zucchero nel sangue. Ma la glicemia scende tanto velocemente quanto è salita così generando il cosiddetto “buco allo stomaco” che guarda caso ci induce a mangiare nuovamente dolci così innescando quel pericoloso circolo vizioso.

Abbiamo chiesto un parere alla Dottoressa Chiara Angiari per capire cosa si fa in questo caso. Dottoressa cosa ne pensa?

Chiara Angiari

Innanzitutto è necessario tenere sotto controllo gli zuccheri che assumiamo nell’arco di una giornata perchè è fondamentale “mettere a riposo” l’insulina per evitare, come abbiamo detto sopra, un suo eccesso di produzione con conseguenze sul peso e sull’infiammazione. Dal 2012 lavoro presso il mio studio come nutrizionista e mi occupo prevalentemente di sovrappeso ed obesità e di tutte le patologie ad esse correlate come insulino resistenza, ovaio policistico, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e steatosi epatica. Queste problematiche, sempre più frequenti, le tratto con un percorso dedicato e personalizzato di dieta chetogenica che ha la peculiarità di abbassare i livelli di insulina con tutte le importanti conseguenze che ne derivano. L’alimentazione va pensata come una vera e propria medicina, questo è un punto di partenza imprescindibile. 

Grasso viscerale e infiammazione

Il peso non concerne solo un problema di carattere estetico ma sappiamo, grazie a numerosi studi di qualità che c’è un legame tra peso in eccesso e infiammazione, ergo malattie. A spiegarci perchè c’è la Dottoressa Annamaria Colao, professoressa di endocrinologia, direttrice dell’Uoc di endocrinologia al Policlinico della Federico II di Napoli e coordinatrice dei centri Sio (Società Italiana per l’Obesità), Easo (Associazione Europea per lo Studio dell’Obesità) nonché Presidente della Società Italiana di Endocrinologia. È la prima donna a vincere il Geoffrey Harris Award 2020, come migliore neuroendocrinologa d’Europa.

Professoressa che legame c’è tra l’obesità e l’infiammazione cronica? Un tema che è stato anche oggetto di un recente convegno specialistico da lei diretto a Napoli. 

Annamaria Colao

Si, diciamo che il tema assume ancor più grande rilevanza oggi, anche alla luce della recente pandemia che ha evidenziato la necessità di una cultura della prevenzione realmente incisiva. 

Partiamo con il dire che numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato che l’obesità, in particolare l’obesità viscerale è caratterizzata da uno stato di infiammazione cronica di basso grado.  Infiammazione basso grado è il primo gradino dello sviluppo di tutte le malattie croniche degenerative e neurodegenerative. Da qui si comprende perchè è necessario limitare il tessuto lipidico infiammato che rilascia citochine e la strategia che consente una rapida e importante diminuzione della massa grassa è proprio una dieta chetogenica ipocalorica e normoproteica. Da quasi un secolo la dieta chetogenica è stata utilizzata nella terapia dell’epilessia refrattaria, soprattutto nei bambini. Negli ultimi anni la letteratura scientifica si è concentrata sul suo utilizzo nel trattamento di altre malattie croniche infiammatorie come l’obesità, la psoriasi, patologie immunitarie e il cancro. Questo perchè i corpi chetonici prodotti dello stato di chetosi, permettono di ottenere un importante effetto saziante, nonostante l’apporto calorico estremamente basso, oltre ad agire sulla riduzione dei processi infiammatori e ossidativi, riducendo così la meta-infiammazione attraverso la riduzione della massa grassa, in particolare quella viscerale. 

La dieta chetogenica: il miracolo metabolico utile contro tanti problemi

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Che cos’è la dieta chetogenica? Quali sono i suoi target di attacco? In che modo nel corso degli anni è cambiata la percezione della medicina nei confronti di questo percorso dietoterapico? Ne abbiamo parlato con Giovanni Spera, Endocrinologo, già Ordinario di Medicina interna e Presidente del Comitato etico dell’Università La Sapienza di Roma, Presidente Eletto della Società Iitaliana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA).

Giovanni Spera

Come si è detto sopra obesità ed il diabete sono conseguenza di uno stile di vita a lungo scorretto, caratterizzato da sedentarietà ed eccesso di alimentazione tanto da potersi identificare con un’unica definizione di “Diabesità”. L’obesità purtroppo è una malattia cronica il cui trattamento è spesso più frustrante della malattia di base e la sua guarigione è rara, il calo di peso lento, la recidiva comune. Spesso pertanto l’approccio al trattamento si traduce in diete stressanti a basso apporto calorico, spesso controproducenti per la salute, soprattutto per pazienti che già soffrono di complicanze croniche come lo stesso diabete con iperglicemia e complicazioni vascolari, l’ipertensione arteriosa o l’insufficienza renale.

In Italia è sovrappeso oltre 1 persona su 3, obesa 1 su 10 mentre il 66,4% delle persone con diabete di tipo 2 è anche sovrappeso o obeso.  La restrizione calorica bilanciata, con dieta mediterranea, rimane l’approccio dietetico di prima scelta, penalizzato però dall’alta incidenza di drop-out per la difficoltà a controllare la fame.

Qual è allora l’approccio dietetico ottimale per un calo ponderale che aiuti anche l’organismo a restare in salute e in forma?

Un’accreditata alternativa per il trattamento dell’obesità è il piano alimentare basato sulle diete ad apporto calorico molto basso (very low caloric diet, VLCD) che, quando concepite riducendo inizialmente prevalentemente i carboidrati rispetto a proteine e lipidi, inducono chetosi (VLCKD) e sono efficaci nella riduzione sia del peso in eccesso che della resistenza insulinica. Ciò grazie anche alla conseguente riduzione della fame in condizioni di benessere soggettivo ed oggettivo”. È opportuno, poi, ricordare che l’ambito di utilizzo della dieta chetogenica è molto più ampio. Essa viene utilizzata con efficacia in neurologia per il trattamento dell’epilessia farmaco-resistente ma anche per l’emicrania, il Morbo di Parkinson, il Morbo di Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica, i traumi cranici, alcuni tumori e patologie su base infiammatoria.I chetoni possono essere considerati dei veri e propri farmaci antinfiammatori e antiossidanti e i numerosi e validi studi che stanno venendo fuori da 10 anni a questa parte ce lo confermano.

Grassi o zuccheri: il grande equivoco dei cibi light

Per decenni le industrie alimentari hanno dichiarato guerra ai grassi, facendo credere ai consumatori che tagliare i grassi sarebbe stata l’unica chiave per perdere peso. Un equivoco con il quale abbiamo convissuto per tanti anni e ha visto l’emersione da un lato di tutta una serie di cibi leggeri, i cosiddetti alimenti light dall’altro dell’incremento del fenomeno dell’obesità. Qualcosa non ha funzionato. Ma questi prodotti sono realmente “leggeri” e il paradigma che sta dietro alla loro assunzione è vetusto o corrisponde alle novità e agli aggiornamenti venuti fuori dagli studi scientifici in auge? L’abbiamo chiesto al Professor Umberto Longo.

Professore cosa ne pensa? Cominciamo con il dire che se si controlla attentamente l’etichettatura dei light ci si rende subito conto che molti cibi ritenuti sani, non lo sono  veramente. Tutto parte dalla considerazione sbagliata che per dimagrire e stare bene si devono togliere i grassi, ma oggi possiamo dirlo che eliminare i grassi vuol dire eliminare anche tutti i benefici che i grassi “buoni” possono apportare. Basta pensare agli acidi grassi insaturi come quelli contenuti nell’olio di oliva, nell’avocado e nelle mandorle che riducono le infiammazioni e migliorano la salute del cuore. 

Cibi con pochi grassi spesso corrispondono a cibi ricchi di zuccheri, conservanti e additivi. Aggiunte queste ultime che servono a rendere i prodotti più saporiti e appetibili. Ma diciamolo pure che non solo gli zuccheri aggiunti fanno più male del grasso sul discorso peso, ma danneggiano lo stato di salute generale. Lo zucchero causa infiammazioni che sono alla base di malattie come l’obesità, il diabete e la sindrome metabolica. L’effetto che genera lo zucchero è quello di una vera e propria dipendenza perchè favorisce il rilascio di dopamine, un neurotrasmettitore che controlla i centri del piacere del cervello. Quindi ridurre l’assunzioni di zucchero è la prima strada necessaria da percorrere per conservare un buono stato di salute. 

I pasti sostitutivi e la necessità dei macronutrienti

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Dimagrire con i pasti sostitutivi, farlo in fretta e bene è possibile. Obesità, Diabete Mellito, Eccesso di Peso. Con la Dieta Chetogenica e i Pasti Sostitutivi, la terapia dietologica funziona ed è sicura. Dimagrire? Non esistono soltanto le diete ipocaloriche e le medicine. Per dimagrire e migliorare la qualità dei propri valori la perdita di peso e il suo mantenimento non possono essere affrontati con metodi alimentari convenzionali. Ma a cosa si fa riferimento quando si parla di meal replacement? L’abbiamo chiesto al Dott. Paolo Favretto, medico-chirurgo, specialista in Scienza dell’Alimentazione, responsabile dell’Ambulatorio di Dietologia Clinica del Centro di medicina di Conegliano (TV).

Paolo Favretto

I pasti sostitutivi sono cibi pronti all’uso o con minima necessità di preparazione, preparati in porzioni e già insaporiti, dal gusto dolce o salato. Al fine di evitare carenze nutrizionali, questi prodotti forniscono un adeguato apporto di tutti i nutrienti indispensabili durante una dieta chetogenica. I pasti sostitutivi, durante una dieta chetogenica normoproteica, sono iperproteici, iperlipidici (i lipidi sono scelti tra quelli “vegetali”) e poveri di carboidrati. In tutti i pasti sostitutivi sono presenti sufficienti quantità di micronutrienti che preservano la salute dei pazienti e che sono fondamentali per mantenere l’equilibrio nutrizionale del paziente, come vitamine, minerali, oligoelementi, senza dimenticare le fibre. Per questi motivi gli alimenti funzionali e i pasti sostitutivi sono un elemento chiave per il successo delle moderne diete chetogeniche VLCKD. Vista la loro specificità e attenzione ai dettagli, sono terapie dietologiche da affrontare sotto stretto controllo medico. Tutto questo consente anche una maggiore personalizzazione del percorso dietoterapico sul singolo paziente e sul singolo problema. 

L’alimentazione del futuro, secondo gli intervistati, dovrà essere necessariamente sostenibile, equa, giusta, ma anche con una grande attenzione alla personalizzazione sul paziente tenendo conto dei suoi problemi e delle sue abitudini di vita. Un approccio “sartoriale” come lo definisce il Dottor Giuseppe Ventriglia. 

Dottore più personalizzazione e meno generalismo dunque? Si, direi proprio di sì. Con il tempo e grazie agli studi a nostra disposizione abbiamo compreso che la rivisitazione del nostro modo di alimentarci è fondamentale. Non dobbiamo vivere nel dogma della nostra formazione, ma essere pronti ad accogliere senza pregiudizi ciò che la scienza ci regala giorno dopo giorno. Questo è sicuramente il caso della dieta chetogenica, uno schema nutrizionale eccellente per la perdita di peso, per l’infiammazione e per il benessere del nostro organismo. E non solo. Le diete chetogeniche sono infatti da anni accreditate dalla letteratura scientifica internazionale come “strumento terapeutico” in aree della salute cruciali quali l’obesità e il diabete mellito di tipo 2, e che si sono dimostrate utili anche per condizioni patologiche cronico-degenerative,  patologie cardiovascolari, patologie neurologiche come l’epilessia ed anche come coadiuvanti in alcune terapie anti tumorali. Tutto questo però rende indispensabile che il terapeuta ne conosca a fondo i presupposti biochimici, fisiologici, metabolici, le indicazioni corrette e diversificate, le diverse tipologie e modalità di applicazione nelle varie condizioni cliniche. Allo scopo, come ha detto Lei in apertura, di saper “cucire addosso” al paziente la prescrizione nutrizionale più adatta a lui. 

Tra gli effetti positivi della dieta chetogenica non possiamo dimenticare quello sulla pelle. Ne abbiamo parlato con Luigi Barrea, associato di Scienze e tecniche dietetiche applicate presso l’Università telematica Pegaso e specialista in Scienza dell’alimentazione presso il Policlinico Federico II di Napoli.

Professore c’è quindi una relazione tra la nostra alimentazione e quelle che sono le malattie della pelle come la psoriasi?

Il cibo influisce sulla pelle, eccome. La nutrizione passa anche per la pelle. Lo dicono molte pubblicità e un fondo di verità c’è. La psoriasi – spiega il Professor Luigi Barrea – è una malattia infiammatoria cronica della pelle caratterizzata da un’accelerata proliferazione e differenziazione dei cheratinociti epidermici. Al di là delle evidenti manifestazioni cutanee, la psoriasi si associa a numerose altre comorbidità, come obesità, diabete mellito di tipo 2, dislipidemia e malattie cardiovascolari. I pazienti affetti da psoriasi mostrano spesso abitudini alimentari sbilanciate, come un maggiore apporto di grassi (soprattutto saturi) e un minore apporto di pesce o fibra alimentare (ricchi di sostanze antiossidante ed anti-infiammatorie). Tali abitudini alimentari potrebbero essere correlate all’incidenza e alla gravità della psoriasi. In questo contesto, la nutrizione gioca un ruolo importante poiché influenza sia lo sviluppo che la progressione della psoriasi da un lato, ma anche il rischio di sviluppo delle comorbidità ad essa associate, dall’altro lato. 

Dalla pelle passiamo all’intestino e ne parliamo con la Dottoressa Elisabetta Camajani. Dottoressa innanzitutto ci spiega che cos’è il microbiota intestinale e a che titolo è determinante per la nostra salute? 

Il microbiota intestinale fa riferimento a batteri, virus e funghi che popolano con varia intensità e demografica il nostro tratto intestinale. Negli ultimi anni, un numero crescente di dati suggerisce che le comunità microbiche intestinali, il microbiota, svolgano un ruolo fondamentale in molti aspetti della salute umana e delle malattie. Il microbiota intestinale e quindi la salute dell’intestino sono influenzati dall’ambiente e dai comportamenti nutrizionali e impattano sulla salute umana e sui suoi molteplici meccanismi d’azione: un esempio su tutti è l’efficienza del sistema immunitario. Quel che sappiamo è che una dieta chetogenica a bassissimo contenuto di carboidrati VLCKD è un approccio dietetico utilizzato per diversi scopi dalla perdita di peso alle malattie neurologiche. 

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Negli ultimi anni proprio sulle malattie neurologiche c’è stato un forte passo in avanti. Cos’è la chetosi? Quali sono i vantaggi e i punti di forza di una dieta chetogenica, ma soprattutto quali i campi di applicazione. L’abbiamo chiesto alla Dottoressa Daria Bongiovanni. Da anni impegnata nello studio e nell’applicazione dei processi legati alla nutrizione, la Bongiovanni più volte ribadisce la sua idea di “dieta”, vicina al concetto di terapia e lontana anni luce da quel mondo di improvvisazione e  “fai da te” in cui spesso inciampiamo sul web. 

Professoressa perché si alla chetogenica? 

La dieta chetogenica ripropone dei meccanismi metabolici fisiologici che ci hanno accompagnato per secoli nella nostra storia e che abbiamo progressivamente abbandonato con l’aumento della disponibilità alimentare. Si basa su una sostituzione di “carburante” all’interno del nostro organismo: il glucosio e tutti i carboidrati vengono rimpiazzati da una produzione controllata di corpi chetonici, sintetizzati internamente a partire dai grassi. Tali grassi possono essere “endogeni” ovvero immagazzinati in eccesso nel tessuto adiposo se in presenza di sovrappeso o obesità oppure “esogeni” ovvero assunti con gli alimenti. E’ poi previsto un apporto equilibrato di proteine in base al peso del paziente, di verdure, di vitamine e sali minerali. In campo neurologico la cheto è in grado di agire significativamente sugli attacchi epilettici e sulle crisi emicraniche per il ruolo anticonvulsivante, neuromodulante, antiossidante ed energetico dei corpi chetonici sul sistema nervoso centrale.

Daria Bongiovanni

Da cosa differisce la dieta chetogenica che applica ai suoi pazienti da quelle che sempre più spesso leggiamo sulle riviste patinate o nei libri autoprodotti di ipotetici guru’ dell’alimentazione?

La ringrazio per la domanda che mi permette di puntualizzare la distinzione importante esistente tra lo strumento usato nel mio ambulatorio (la dieta chetogenica), altamente specifico e sicuro, basato su forti evidenze scientifiche, e ciò che arbitrariamente e in un modo estremamente variegato si può trovare sotto questo nome sul web. Nel primo caso siamo di fronte ad un protocollo alimentare validato, atto a curare tutta una serie di malattie (metaboliche, ormonali, neurologiche, etc.) in assoluta sicurezza (previa corretta indicazione ovviamente) mentre in tutti gli altri casi ci si rivolge a proposte “anticarboidrati” oggigiorno molto di moda, non sempre supportate da evidenze scientifiche e quindi potenzialmente pericolose.

Quindi chetogenica si, ma come percorso medicalizzato nel quale si è seguiti da un professionista sanitario. No fai da te. Vero Dottor Giuseppe Piccione? 

Assolutamente. L’argomento è molto intrigante. Sempre più pazienti arrivano nel mio studio con la voglia di fare una chetogenica, anche quando non c’è n’è reale necessità. Molti hanno solo bisogno di correggere certe errate abitudini alimentari, altri arrivano da percorsi duri di diete senza risultati, stati di difficoltà per la menopausa e tanto altro. Applico il protocollo chetogenico da più di 5 anni e ho visto evoluzioni molto belle, quasi miracolose. I pazienti solitamente si aspettano che il problema sono i grassi, ma credo sia doveroso dirlo e ribadirlo che il vero problema, come hanno detto sopra molti colleghi, sta nell’eccessiva assunzione di zucchero che aumenta l’insulina e crea infiammazioni anche laddove bisognerebbe proprio evitare, come nelle cellule tumorali che proliferano in presenza di zucchero arrivando addirittura a cambiare il loro metabolismo. Quello che in medicina è definito come l’Effetto Warburg che consiste nell’esclusivo uso del glucosio come fonte energetica e metabolica. Tanto che numerosi approcci terapeutici in diversi tipi di patologie tumorali si sono basati sul tentativo di “affamare” le cellule tumorali impedendo loro di utilizzare il glucosio. Buoni risultati si sono riscontrati nel trattamento soprattutto dei Gliomi, molto frequenti tumori cerebrali, in termini di prolungamento della qualità ed aspettativa di vita e di migliore risposta ad i trattamenti tradizionali. Insomma per fare del bene a noi stessi e all’ecosistema dobbiamo ripartire necessariamente da qui. Evitare sprechi pensando al cibo come medicina, ma anche come un grosso problema se utilizzato come “consolazione” e terra di eccessi.