Nel mese di novembre un gruppo  selezionato di ricercatori da tutto il mondo si è riunito nelle stanze dorate della Royal Society per discutere e studiare le cause che si nascondono dietro al problema dell’obesità. 

Il fenomeno, purtroppo, appare in crescita e viene definito come una condizione complessa e cronica che non può essere attribuibile semplicemente alla responsabilità personale di un singolo.  A tal fine i ricercatori delle varie discipline hanno condiviso una serie di meccanismi che potrebbero spiegare l’aumento globale di questa problematica. Diversi studiosi e diverse discipline a confronto hanno cercato di tracciare un quadro di possibili responsabilità. 

Il Professor Stephen Simpson dell’Università di Sidney è intervenuto affermando l’idea che tutti i carboidrati di cui ci nutriamo diluiscono le proteine ​​presenti nel nostro corpo spingendoci a mangiare più calorie per compensare la discrepanza. Il Professor Ludwig ha parlato della validità dei modelli a basso contenuto di carboidrati suggerendoli come strategie utili e necessarie per avere un rapido e reale calo ponderale. Altri hanno parlato del problema degli alimenti ultraprocessati che a quanto pare spingono le persone a mangiare di più. Il mistero potrebbe essere spiegato dalle migliaia di sostanze tossiche che gli alimenti molto lavorati possono trasportare sotto forma di fertilizzanti, insetticidi, plastiche e additivi. Uno studio della Dottoressa Barbara E. Corkey della Boston University  ha dimostrato infatti che le sostanze chimiche interferiscono con il nostro metabolismo.

Ma non finisce qui. La professoressa Melissa Bateson della Newcastle University ha parlato di un curioso legame tra insicurezza alimentare e obesità negli uccelli. Quando il cibo scarseggia, gli animali mangiano meno calorie ma aumentano di peso. Gli studi sugli esseri umani hanno anche trovato un’associazione “robusta” tra insicurezza alimentare e obesità, ha detto – il cosiddetto paradosso dell’obesità della fame.

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Di fatto l’incontro non ha regalato certezze, anche se sullo sfondo appaiono evidenti delle responsabilità per così dire “ambientali”. La promozione del cibo spazzatura, i distributori automatici, l’opulenza, la facile accessibilità al cibo e lo scarso movimento sono tra i principali indiziati in quello che è un problema non solo di carattere personale, ma anche sociale poiché coinvolge la società tutta inclusi i Sistemi Sanitari nazionali dei vari paesi. Parlare di obesità vuol dire parlare di tutta una serie di patologie correlate. Essere affetti da obesità vuol dire principalmente aprirsi un grosso viatico verso problematiche  come il diabete tipo 2, l’ipertensione, il grasso nel sangue, i problemi respiratorie e anche alcune forme di neoplasia. Qui va aggiunto anche un punto non trascurabile: il paziente con obesità presenta una limitata performance fisica, una vera e propria disabilità che compromette i ritmi stessi di vita. Basti guardare gli alti tassi prepensionamento tra questa tipologia di persone. Di questo e altro si è parlato in un convegno di esperti a Torremmaggiore il 7 gennaio. Luigi Barrea, docente di Nutrizione Università di Napoli e Fabrizio Cerusico, chirurgo specialista in Ginecologia e Ostetricia hanno evidenziato quanto sia fondamentale nel trattamento di questa problematica un cambiamento di strategia alimentare.

Nello specifico dice il Professor Barrea: 

L’obesità è una malattia multifattoriale che ha una componente genetica ed è legata agli stili di vita come l’attività fisica e il regime alimentare.  La dieta chetogenica prevede la modulazione di alcuni ormoni che agiscono riducendo sia il peso corporeo, ma in particolare le comorbidità che spesso sono presenti nei pazienti con obesità come ipertensione e diabete mellito di tipo 2. Quello che noi sappiamo che la dieta è la terapia di prima linea nel soggetto con obesità.

A parlare del peso dell’obesità sull’infertilità maschile e femminile c’è il Professor Cerusico che afferma:

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Una diminuzione del peso anche del 10% determina un aumento della fertilità del 10%. Gli alimenti che devono essere mangiati dovranno essere alimenti che non stimolano l’aumento della glicemia e insulina che è uno dei motivi per cui prendiamo peso”.

Uno studio dice che le donne obese hanno il 68% di probabilità in meno di avere un parto vivo dopo il primo ciclo di terapia assistita rispetto alle normopeso. 

Da qui l’importanza di agire bene e farlo in fretta. In tal senso la dieta chetogenica ha dimostrato di essere una giusta strategia in campi che concernono la medicina, l’anti-aging e la risoluzione di problemi come sindrome metabolica e diabete tipo 2. Nel caso specifico della fertilità, il dimagrimento che avviene con la produzione di chetoni dal grasso corporeo può migliorare la qualita’ ormonale e di conseguenza anche il percorso della fecondazione assistita. 

Insomma il grasso viscerale non è solo una questione estetica. Grazie a validi studi sappiamo che il tessuto adiposo lungi dall’essere un materiale inerte va incontro a fenomeni di infiammazione, si crea quella che viene definita la adiposopatia che genera molecole infiammatorie che hanno poi risvolti generali sulla salute complessiva dell’individuo. L’infiammazione di basso grado cronica può dare problemi cardiovascolari e impatta sulle difese immunitarie così generando, come abbiamo visto durante la pandemia da Sars Covid 2, una minore resistenza alle infezioni. Tant’è che questi dati sono stati recepiti rapidamente dall’ISS che ha fatto partire da subito la vaccinazione proprio nei pazienti affetti da obesità.

Cambiare atteggiamento e cambiare velocemente. Questo ci suggerisce oggi la realtà pensando a noi come individui e come ecosistema.