La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è il disturbo endocrino più comune nelle donne in età fertile. La sua eziologia è in gran parte sconosciuta, ma diverse evidenze suggeriscono che questa sindrome possa essere un complesso disturbo multifattoriale con forti influenze ambientali come la nutrizione. Sebbene siano stati condotti diversi studi per indagare l’associazione tra alterazioni metaboliche e la PCOS, la causa per la quale l’obesità è spesso un riscontro comune in queste donne non è ancora stata del tutto chiarita. In particolare, l’obesità e l’infiammazione cronica di basso grado, contribuiscono entrambe all’insorgenza dell’insulinoresistenza (IR) amplificando così gli esiti negativi sia metabolici che riproduttivi. Quindi l’approccio nutrizionale nella PCOS deve essere finalizzato, come afferma lo studio, al raggiungimento di obiettivi specifici, tra cui il miglioramento dell’insulino-resistenza e dei disordini metabolici, che sarà possibile attraverso una dieta ipocalorica che riduca l’assunzione di carboidrati semplici e raffinati ad alto indice glicemico, la limitazione degli acidi grassi saturi (<10% dell’apporto energetico totale) e l’attenzione alle possibili carenze di diversi micronutrienti, tra cui vitamina D, cromo e omega-3.

Qual è il ruolo della dieta nel trattamento terapeutico di questo problema? A rispondere a questa domanda c’è il Professor Luigi Barrea.

Barrea evidenzia la necessità di effettuare un trattamento dietetico che abbia un impatto positivo sulla riduzione dell’IR e un miglioramento delle funzioni metaboliche. Questi benefici possono essere raggiunto attraverso una dieta
ipocalorica, con un basso apporto di carboidrati semplici e raffinati e promuovendo l’assunzione di cereali integrali non raffinati e alimenti con un basso indice glicemico. Nella ricerca del miglior approccio nutrizionale nella PCOS, sono numerose e varie le diete oggetto di studio, come ad esempio le diete a basso contenuto di carboidrati, le diete chetogeniche o ancora la Dieta
Mediterranea. La gestione del peso è la principale strategie di trattamento nelle donne con obesità.

C’è una relazione tra peso corporeo e Pcos?

Ci sono anche evidenze – spiega Barrea – che sembrano supportare una maggiore suscettibilità genetica all’obesità nelle donne con PCOS. È stato proposto che l’obesità giochi un ruolo importante nella patogenesi nel peggioramento delle caratteristiche metaboliche, riproduttive e psicologiche della PCOS.

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Quali sono le conseguenze sul lungo termine della PCOS?

A lungo termine, le donne PCOS con sovrappeso o obesità, hanno un rischio maggiore di sviluppare la sindrome metabolica, l’alterata tolleranza al glucosio e il diabete mellito di tipo 2. Diversi studi hanno dimostrato che l’aumento di peso potrebbe addirittura precedere l’insorgenza della PCOS, dando ulteriore sostegno al ruolo causale dell’obesità nello sviluppo della patologia.

L’effetto dell’obesità sui sintomi metabolici e riproduttivi nella PCOS è probabilmente mediato dalla insulinoresistenza L’obesità, in particolare quella centrale, è nota per aumentare l’insulinoresistenza. Da qui si nota come l’iperinsulinemia, risultante dall’IR, stimola la steroidogenesi ovarica e inibisce la produzione della globulina legante gli ormoni sessuali nel fegato, aumentando così la disponibilità di androgeni liberi. Il tessuto adiposo rappresenta anche un sito di stoccaggio, nonché un sito di produzione per vari
steroidi liposolubili, come gli androgeni, che contribuiscono ulteriormente all’iperandrogenismo. Le donne PCOS con sovrappeso e/o obesità, hanno quindi maggiori probabilità di avere una peggiore presentazione clinica della patologia, con conseguenze importanti sia sul piano metabolico che riproduttivo. Al contrario ci sono anche prove che la stessa PCOS potrebbe contribuire all’insorgenza di sovrappeso e/o obesità. Le donne con alti livelli di androgeni, infatti, ricercano più frequentemente cibi ad alto contenuto di grassi e ricchi di carboidrati raffinati ad alto IG, assumendo verosimilmente una quantità maggiore di questi alimenti che contribuiscono all’incremento ponderale, all’IR e, indirettamente, all’iperandrogenismo. La maggiore prevalenza di sovrappeso e obesità nella PCOS può quindi riflettere anche una predisposizione intrinseca all’aumento di peso. Inoltre, le donne con PCOS hanno una maggiore tendenza ad accumulare grasso nella parte superiore del corpo, in particolare a livello viscerale, rispetto ai controlli di pari peso corporeo.

Qual è la relazione tra Pcos e nutrizione?

L’alta assunzione di carboidrati e l’infiammazione cronica di basso grado cooperano con l’IR e l’iperandrogenismo per costituire un continuum interattivo che agisce sulla fisiopatologia della PCOS. Il ruolo dell’insulina nella PCOS è fondamentale sia nel regolare l’attività degli enzimi ovarici ed epatici, rispettivamente coinvolti nella produzione di androgeni, sia nell’innescare un’infiammazione cronica di basso grado associata a IR, dislipidemia e malattie cardio-metaboliche.

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Le modifiche della dieta che portano a una riduzione del glucosio postprandiale e dell’iperinsulinemia, potrebbero avere importanti implicazioni nel migliorare l’ossidazione degli acidi grassi, promuovendo la perdita di peso e prevenendo un ulteriore incremento ponderale nelle donne con PCOS. In uno studio prospettico su donne infertili, l’assunzione totale di carboidrati e il carico glicemico
erano positivamente correlati all’infertilità ovulatoria nelle analisi aggiustate per età, indice di massa corporea, fumo, attività fisica, frequenza della contraccezione, assunzione totale di energia, assunzione di proteine e altre variabili alimentari. In uno studio di Douglas e colleghi è stato notato una dieta a basso contenuto di carboidrati (43% dell’energia totale) per 16 giorni era in grado di promuovere riduzioni significative delle concentrazioni di insulina a digiuno e postprandiali, che, a loro volta, possono nel tempo migliorare i parametri riproduttivi ed endocrini delle donne PCOS.

Mettendo a confronto una dieta ipocalorica ad alto contenuto proteico e basso carico glicemico (40% carboidrati con <20 carico glicemico, 30 % proteine, 30 % grassi) rispetto a una di eta ipocalorica convenzionale (55 % carboidrati, 15 % proteine, 30 % grassi) si è notato che entrambe portavano a una riduzione significativa del peso corporeo e dei livelli di androgeni, ma solo la combinazione di alimenti ad alto contenuto proteico e a basso carico glicemico avevano portato a un aumento significativo della sensibilità all’insulina.

Successivamente uno studio di Gower & Goss ha valutato se la restrizione dietetica dei carboidrati potesse migliorare la composizione corporea e il profilo metabolico in 30 donne con PCOS randomizzate a ricevere una dieta a basso contenuto di grassi (55%, 18% e 27% di energia da carboidrati, proteine e grassi, rispettivamente) o una dieta a basso contenuto di carboidrati (41%, 19% e 40 %, rispettivamente) per 8 settimane. La dieta a basso contenuto di carboidrati aveva mostrato significative diminuzioni dell’insulina e del glucosio a digiuno e un significativo aumento della sensibilità all’insulina, mentre non erano stati osservati cambiamenti durante la dieta a basso contenuto di grassi.

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Cosa dicono gli studi sull’impiego di una dieta chetogenica VLCKD?

Sono state riportate poche esperienze, ma positive, attraverso l’approccio terapeutico con una dieta chetogenica a basso contenuto energetico (very low calorie ketogenic diet, VLCKD) (composta da meno di 20 g di carboidrati al giorno) in donne con PCOS, in termini di riduzione del peso corporeo, del testosterone libero, insulina a digiuno e miglioramento del rapporto ormone LH/FSH. La manipolazione del contenuto proteico della dieta, infatti, mediante le sue azioni dirette sul senso di sazietà e mediante la formazione dei corpi chetonici, potrebbe favorire, al di là della riduzione ponderale, miglioramenti pleiotropici sulla sfera psicologica, vale a dire riduzione di depressione e aumento dell’autostima, miglioramento del senso di sazietà e riduzione dell’appetito, con conseguente miglioramento dei livelli di insulina e steroidi. Dai risultati degli studi, si suggerisce che la restrizione energetica
sembra essere più importante della composizione dei macronutrienti.

Di questo e altro si parlerà l’11 febbraio a Bologna, presso l’Hotel Savoia Regency di Via del Pilastro 2.

Qui di seguito il Programma Scientifico:

  • 9.00-9.45 | Cenni di biochimica e razionale di utilizzo della dieta chetogenica
  • Mauro Giulietti – Medico chirurgo spec. in Scienza dell’Alimentazione e Patologia Clinica
  • 9.45-10.45 | Dieta chetogenica nella fertilità e PCOS
  • Luigi Barrea – Professore Associato di Nutrizione Clinica e Dietetica Applicata
  • 10.45-11.15 | Microbiota, obesità e dieta chetogenica
  • Sabrina Basciani – Biologa Nutrizionista
  • 11.15-12.00 | Sicurezza renale in dieta chetogenica
  • Adriano Bruci – Medico chirurgo spec. in Nefrologia
  • 12.00-12.45 | Il protocollo chetogenico : pratica e casi clinici
  • Mascia Anagni – Medico chirurgo spec. in Endocrinologia e Malattie del Ricambio
  • 12.45-13.30 | Discussione e chiusura del corso
  • 13.30 | Lunch

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