Ottobre 2020. Uno studio dell’Università La Sapienza su pazienti in terapia intensiva per Covid-19 dimostra che chi ha più grasso viscerale della media ha maggiori probabilità di finire in terapia intensiva a causa dell’aggravarsi dei sintomi del Coronavirus. A dirlo è una ricerca clinica, realizzata dalla dott.ssa Mikiko Watanabe sotto la guida del prof. Lucio Gnessi e del prof. Andrea Laghi, della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con il Campus Bio-Medico dell’Università di Roma e l’Ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Lo studio ha voluto dimostrare come non soltanto la pancia fa aggravare il Covid-19 a tutte le età, ma anche che il grasso viscerale sembrerebbe addirittura più importante dello stato polmonare nello spiegare la necessità di una ventilazione meccanica. Un tema importante nella giornata dedicata alla lotta contro l’obesità: l’obesity day.
Ne parliamo con Giovanni Spera, Endocrinologo, già Professore Ordinario di Medicina Interna de La Sapienza di Roma.
L’Obesità ed il Diabete sono ambedue conseguenza di uno stile di vita a lungo scorretto, caratterizzato da sedentarietà ed eccesso di alimentazione tanto da potersi identificare con un’unica definizione di “Diabesità”. L’obesità purtroppo è una malattia cronica il cui trattamento è spesso più frustrante della malattia di base e la sua guarigione è rara, il calo di peso lento, la recidiva comune. Spesso pertanto l’approccio al trattamento si traduce in diete stressanti a basso apporto calorico, spesso controproducenti per la salute, soprattutto per pazienti che già soffrono di complicanze croniche come lo stesso diabete con iperglicemia e complicazioni vascolari, l’ipertensione arteriosa o l’insufficienza renale.
In Italia è sovrappeso oltre 1 persona su 3, obesa 1 su 10 mentre il 66,4% delle persone con diabete di tipo 2 è anche sovrappeso o obeso.
La restrizione calorica bilanciata, con dieta mediterranea, rimane l’approccio dietetico di prima scelta, penalizzato però dall’alta incidenza di drop-out per la difficoltà a controllare la fame.
Qual è allora l’approccio dietetico ottimale per un calo ponderale che aiuti anche l’organismo a restare in salute e in forma?
Un’accreditata alternativa per il trattamento dell’obesità è il piano alimentare basato sulle diete ad apporto calorico molto basso (Very low caloric diet, VLCD) che, quando concepite riducendo inizialmente prevalentemente i carboidrati rispetto a proteine e lipidi, inducono chetosi (VLCKD) e sono efficaci nella riduzione sia del peso in eccesso che della resistenza insulinica.
Ciò grazie anche alla conseguente riduzione della fame in condizioni di benessere soggettivo ed oggettivo”. Queste le parole di Giovanni Spera, Endocrinologo, già Professore Ordinario di Medicina Interna de La Sapienza di Roma. La Dieta Chetogenica è un approccio terapeutico all’obesità che è ritornato d’interesse per ricercatori, medici e scienziati. Curare l’obesità con i farmaci, quando lo stile di vita non cambia, è come curare un malato di polmonite che non smette di fumare sigarette.
È opportuno, poi, ricordare che l’ambito di utilizzo della dieta chetogenica è molto più ampio. Essa viene utilizzata con efficacia in preparazione alla chirurgia bariatrica, in neurologia per il trattamento dell’epilessia infantile farmaco-resistente ma anche per l’emicrania ed in alcuni casi di Morbo di Alzheimer, oltre che come coadiuvante in corso di terapie oncologiche ed in patologie su base infiammatoria.