Qualche giorno fa il Professor Roberto Burioni ha condiviso sul suo account facebook un pezzo intitolato Carboidrati e mortalità: come comportarsi con la dieta firmato dalla Dottoressa Renata Gili, Medico chirurgo e ricercatrice della Fondazione GIMBE che sul blog “Medical facts” cita uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health che mette in relazione  il consumo di carboidrati con la mortalità. 

LO STUDIO PUBBLICATO SU LANCET

Nello specifico la Dottoressa Gili esordisce scrivendo:

“Una dieta con livelli molto bassi di carboidrati non è salutare”. 

Rispetto a questa affermazione interviene il Professor Giovanni Spera, Già Ordinario di Medicina Interna e Presidente del Comitato Etico Sapienza Università di Roma.Presidente Eletto della Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA).

Professore cosa vede questo incipit?

La solita storia.  Per il partito che difende a spada tratta ed occhi bendati la mitologica storia dei carboidrati, ogni occasione è buona, magari ripescando fuori tempo massimo pubblicazioni prestigiose, per diffondere messaggi inquietanti nei confronti di chi osa ridurli nella dieta.

Intanto nessun esperto serio di nutrizione ha mai sostenuto che i carboidrati siano una maledizione. Il glucosio è il più nobile dei substrati, per le più nobili tra le cellule del nostro organismo. Il punto di svolta per l’evoluzione finalistica del cervello del Sapiens, ma che la loro eccessiva assunzione sia la causa di Obesità e Diabete di tipo 2, le patologie croniche di cui principalmente ci si ammala e muore nel mondo, a causa delle loro conseguenze sul sistema cardio circolatorio, è un assioma inconfutabile. 

Di conseguenza, che per provare a gestire Obesità e Diabete si debba intanto drasticamente ridurre innanzitutto i carboidrati, è un altro assioma altrettanto inconfutabile. 

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Pertanto per comunicare correttamente in tema di carboidrati nell’alimentazione si deve quanto meno sempre distinguere tra quelli assunti come abitudine alimentare di vita e quelli assunti in un percorso di terapia dietetica, su prescrizione di un sanitario, per periodi più o meno lunghi, ma anche a tempo indeterminato. 

Professore cosa ne pensa di questo studio pubblicato su Lancet?

Ora, il bellissimo anche se ormai un po’ datato, lavoro pubblicato su Lancet ha una debolezza, intrinseca e dichiarata, di non fare alcuna distinzione, tra i soggetti reclutati per lo studio, in base a patologie preesistenti e tantomeno alle misure antropometriche (peso e altezza ovvero BMI), ma solo alle percentuali di macronutrienti nel totale introito calorico. L’enorme numerosità e le analisi multivariate, danno comunque significatività rispetto all’unico obiettivo principale dichiarato e cioè la mortalità per ogni causa. Ma a questo punto il messaggio, dopo l’esame di questa mole di dati è scontato e poco originale.  Conferma cioè che l’aspettativa di vita è minore per chi assume un eccesso di carboidrati ed anche per chi ne assume troppo pochi, ma solo se li sostituisce con grassi saturi (i cattivi) e non con gli insaturi e polinsaturi (i buoni) e con proteine di origine animale e non vegetale.

D’altra parte gli stessi autori nel box di sintesi della ricerca, alla voce “implicazioni di tutte le evidenze disponibili”, ribadiscono (tradotto letteralmente): 

se un’assunzione ridotta di carboidrati è un approccio scelto per perdere peso o per ridurre il rischio cardio metabolico, la sostituzione dei carboidrati in prevalenza con grassi e proteine di origine vegetale, può essere considerato un approccio a lungo termine per promuovere la longevità in salute (healty ageing). 

La bocciatura, come spiega correttamente anche la relatrice è nei confronti di una dieta a basso apporto di carboidrati laddove questi vengono sostituiti con un abuso di grassi e proteine di origine animale. 
Diffondere dubbi su chi osa toccare i carboidrati della dieta significa mettere in sospettoso e pericoloso allarme il paziente obeso e/o diabetico che si veda proporre una dieta a basso apporto di carboidrati, invece fondamentale per ottenere risultati concreti. Figurarsi poi se la proposta fosse di una dieta a bassissimo apporto di carboidrati, una cosiddetta chetogenica, che oggi è considerata, nel panorama della ricerca clinica, una clamorosa sfida per dotare la scienza della nutrizione di una nuova finora inimmaginabile arma in più (da maneggiare comunque con cura e competenza!) per la lotta a tutte le patologie croniche e flogistiche su base metabolica.