L’OPINION PAPER DI ANTONIO D’AVOLIO E GIANCARLO ISAIA A NOME DEL GRUPPO DI STUDIO DELL’ACCADEMIA MEDICA DI TORINO

Basta fare una ricerca su Google con la parola chiave Vitamina D per veder comparire milioni di risultati e più di 5000 pubblicazioni scientifiche. Proviamo a mettere ordine tra vecchie e nuove evidenze relative al possibile ruolo di questa molecola sia nella prevenzione che nel trattamento della malattia da COVID-19. 

E’ noto da sempre che la vitamina D è fondamentale per la corretta utilizzazione del calcio a livello delle ossa, ma anche da tempo come sia importante per metabolismo e funzione muscolare, per il metabolismo del glucosio ed il sostegno al sistema immunitario, ma una vera esplosione di dati ha messo al centro dell’attenzione la vitamina D in coincidenza dell’emergenza della pandemia da Coronavirus. A questo punto, secondo l’opinion paper redatta da Antonio D’Avolio e Giancarlo Isaia dell’Università degli Studi Torino, è ormai evidente la coincidenza tra livelli circolanti e disponibilità di questa vitamina e la risposta clinica all’infezione da Covid-19. 

Cosa dice la letteratura scientifica riguardo la Vitamina D?

Iniziamo col dire che sono noti da tempo gli effetti sulla risposta immunitaria, sia innata che adattiva (Charoenngam N & Holick M) che si sviluppa nei pazienti affetti da COVID-19 in  conseguenza di differenti meccanismi fisiopatologici (Aygun H et al.,), ma forse anche a seguito di una ridotta disponibilità  di 7-deidrocolesterolo e di conseguenza del suo metabolita colecalciferolo, per la marcata  riduzione della colesterolemia osservata nei pazienti con forme moderate o severe di COVID-19  (Marcello A. et al.,).

Su PubMed sono disponibili ad oggi circa 300 lavori, tutti del 2020, con oggetto il legame tra  COVID-19 e vitamina D. In tutti, come confermano Isaia e D’avolio è stata confermata la presenza di  ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, più spesso in forma severa  (Kohlmeier M et al.,) e di una più elevata mortalità (OR  3,87). Da qui parte una interessante riflessione circa la potenziale utilità della vitamina D in una strategia di prevenzione su tutta la numerosa popolazione anziana, che in Italia, come è noto, è in larga misura carente di questa molecola. La stessa popolazione anziana che, come è anche noto, è la più esposta alla malattia da Covid-19 ed alle sue forme più gravi e mortali. 

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L’elenco degli studi presi in considerazione

Gli studi che suffragano questa considerazione sono tanti e ben condotti tanto che, pur se l’utilità certa della Vitamina D nella prevenzione ed a maggior ragione nel trattamentO del COVID 19 non è ancora del tutto accertata, specie su grandi numeri, esistono i margini che suggeriscono l’assoluta necessità di un serio approfondimento in materia. Approfondimento che è consigliabile condurre tramite: 

  • l’attivazione di una consensus conference e/o di uno studio clinico randomizzato  e controllato, promosso e supportato dallo Stato, sull’efficacia terapeutica della Vitamina D,  a pazienti sintomatici o oligosintomatici, secondo uno dei seguenti schemi:  

∙ Colecalciferolo per via orale 60.000 UI/die per 7 giorni consecutivi  

∙ Colecalciferolo in monosomministrazione orale di 80.000 UI (nei pazienti anziani)

∙ Calcifediolo 0.532 mg (106 gocce) nel giorno 1 e 0,266 mg (53 gocce)  nei giorni 3 e   7 e poi in monosomministrazione settimanale.  

  • la somministrazione preventiva di Colecalciferolo orale (fino a 4000 UI/die) a  soggetti a rischio di contagio (anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, congiunti di pazienti  infetti, soggetti in comunità chiuse).

Qui l’appello con tutti i firmatari.