Quasi 50 milioni di persone convivono con la demenza in tutto il mondo e si prevede che questo numero aumenterà a oltre 80 milioni entro il 2030. Questo problema porta un progressivo deterioramento cognitivo che ha a che fare con percorsi molecolari complessi, tra cui l’accumulo del peptide beta-amiloide (Aβ) nel cervello. I meccanismi neuroinfiammatori che sottendono la malattia sono stati associati all’immunosenescenza e alla disbiosi intestinale. A dirlo uno studio coordinato dal Department of Nutritional Sciences and Dietetics, International Hellenic University di Thessaloniki in Grecia. 

Il declino cognitivo non è una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento e per contrastarlo sono stati identificati numerosi fattori modificabili con un corretto stile di vita e di alimentazione  Lo studio evidenzia che l’aumento del rischio di demenza è stato associato al consumo di alimenti ricchi di grassi saturi e carboidrati semplici, la cosiddetta dieta “occidentale”, mentre le diete ad alto contenuto di grassi mono e polinsaturi, verdure e proteine magre sono collegate a una riduzione del rischio, ricorda una delle firmatarie dello studio Lemonica Koumbi.

Ma in cosa consiste questa dieta utilizzata per lo studio?

La dieta mediterranea MIND è l’acronimo di  Mediterranean-DASH Intervention for Neurodegenerative Delay. Questa dieta che combina la dieta mediterranea e la dieta DASH è associata a un minor rischio di Alzheimer e a un più lento declino delle funzioni cerebrali.

La MIND è una dieta che incoraggia un’alimentazione a base di verdure, bacche, olio d’oliva, noci, cereali integrali, pesce, fagioli e pollame mentre scoraggia l’uso di burro, margarina, carne rossa, cibi fritti, dolci e formaggio. Questa dieta può apportare benefici  perché riducendo le proteine Aβ potenzialmente dannose, attraverso alterazioni della composizione del microbioma intestinale e l’effetto di antiossidanti e vitamine. 

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Cosa c’entra il microbioma intestinale nell’Alzheimer? 

Lo studio mostra che la disbiosi del microbioma intestinale provoca permeabilità intestinale e infiammazione sistemica, che influisce negativamente sull’integrità della barriera  emato-encefalica e di conseguenza sulla patogenesi dell’AD . Inoltre, i lipopolisaccaridi batterici (LPS) e le citochine proinfiammatorie possono accelerare la neuroinfiammazione, contribuendo alla perdita neuronale. Questo mostra che esiste un asse microbiota-intestino-cervello. I pazienti affetti da Alzheimer infatti presentano una disbiosi del microbiota intestinale che comprende una diminuzione della ricchezza microbica. Nello specifico i soggetti affetti da malattie neurodegenerative mostrano un aumento del numero di batteri appartenenti ai phyla Proteobacteria e Bacteroidetes e una diminuzione dei rappresentanti dei phyla Firmicutes e Actinobacteria. 

Ad oggi nonostante gli studi sull’uomo relativi all’impatto dei prebiotici sulla funzione cognitiva nei pazienti affetti da MA appaiono scarsi si può dire che la modulazione della risposta infiammatoria sistemica con prebiotici e probiotici or adherance to the MIND diet può essere parte di un approccio globale per rallentare il declino cognitivo attraverso un impatto sull’asse intestino-cervello. La somministrazione di Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus casei, Bifidobacterium bifidum, Lactobacillus fermentum ha dimostrato di migliorare la funzione cognitiva. 

Quale ruolo svolge in questo ambito una dieta chetogenica basata su una forte limitazione di zuccheri?

Precedenti revisioni sistematiche hanno evidenziato come la dieta chetogenica (KD) sia un un altro approccio dietetico correlato con un ridotto declino cognitivo nella demenza e mira al metabolismo del glucosio, noto anche per essere alterato nella demenza. Nello specifico cambiando il metabolismo dai carboidrati agli acidi grassi, si è notato che la KD è in grado di stimolare la produzione di chetoni che saranno utilizzati come una nuova opzione energetica dal sistema nervoso centrale. Sembra che una dieta con un alto contenuto di grassi e pochi carboidrati induca il corpo a uno stato del tutto simile all’effetto del digiuno, generando un’azione neuroprotettiva sulle cellule del cervello, rallentandone l’invecchiamento, riducendo l’infiammazione generata da stress e migliorando la funzione mitocondriale. Proprio quest’ultima è responsabile del metabolismo energetico del cervello ed è la vittima designata dei disordini neurodegenerativi, quindi i corpi chetonici possono supportare l’energia del cervello e rallentare la progressione di diversi disordini neurodegenerativi come il morbo di Alzheimer.

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E’ noto da tempo come la chetosi – dice il Professor Giovanni Spera –  in particolare i singoli chetoni e ancor più in particolare l’Acido β-idrossibutirrico svolgono un ruolo di riadattamento metabolico dei neuroni. Questo dato è noto fin da quando la chetosi è stata utilizzata per difendere i giovani malati di epilessia resistenti al trattamento farmacologico. L’epilessia viene trattata tutt’ora con le chetogeniche, ma più recentemente la letteratura ci ha portato dati più che evidenti su come questo riadattamento metabolico dei neuroni può essere efficace per trattare altre patologie a patogenesi metabolica ed infiammatoria quali la cefalea cronica e malattie involutive come l’Alzheimer. Il lavoro descritto qui sopra è molto interessante e dimostra come la chetosi indotta con diete a basso utilizzo di carboidrati possano essere non solo efficaci per rallentare il processo neurodegenerativo dell’Alzheimer, ma anche direttamente su sintomi specifici della malattia, come ansia e depressione. Questo perché l’azione dei chetoni sembra essere mirata sul sistema di neurotrasmissione del glutammato che è coinvolto proprio nella manifestazione di ansia e depressione. Quindi si parla non solo di un miglioramento indotto a monte dalla chetosi intervenendo su metabolismo e infiammazione, ma anche di un’azione biochimica dei chetoni sui neurotrasmettitori. Lo studio apre scenari fisiopatologici molto interessanti che, se approfonditi, potrebbero ampliare ulteriormente l’area di applicazione delle diete chetogeniche.